Trekking Testa Grigia (3.315m) e bivacco Lateltin
- Luca Reginelli
- 21 dic 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Una delle esperienze di trekking più memorabili è senza dubbio l’escursione di due giorni sul monte Testa Grigia in Valle d’Aosta. Programma: partire la mattina, passare la notte in un bivacco, raggiungere la vetta il giorno successivo e riscendere a valle.
L’impresa è data principalmente dal dislivello di questo tragitto, e dal nostro poco allenamento fisico, si parte da circa 1.420 m per arrivare ai 3.315 m della vetta, quasi 2000 metri di dislivello (per chi è poco pratico, son tanti), e 16 km di cammino tra andata e ritorno.

La partenza è da un parcheggio lungo la strada regionale SR44 subito dopo Gressoney - Saint - Jean, presso Tschemenoal (parcheggio 45°47'50.7"N 7°49'21.2"E), imbocchiamo il sentiero 6 in tarda mattinata ed iniziamo l’ascesa con i nostri pesanti zaini. Dopo poco meno di un’ora si arriva al rifugio Alpenzu Grande a 1.779 m, che è situato all’interno di un tipico borgo alpino veramente molto suggestivo, il cielo è limpido e la giornata è calda nonostante sia ottobre, un piccolo paradiso per una breve sosta.
Percorriamo poi un tratto più dolce attraverso i pascoli, fino a delle malghe (edifici per pastori) dove troviamo un bivio, dovremmo proseguire per il sentiero 6 ma non essendo molto esperti del luogo, facciamo un’altra strada. Capiamo subito che qualcosa non torna, ma proviamo ugualmente a proseguire, fino a trovarci a scalare con braccia e gambe su dei dirupi. Alla fine torniamo indietro sino alle malghe, da dove possiamo imboccare il sentiero giusto. Questa piccola svista ci costa caro, perdendo più di un’ora di tempo e faticando molto più del dovuto, la stanchezza si inizia già ad accumulare. Riprendiamo lungo la retta via, la salita inizia a farsi sentire già dopo i primi 1.000 m di dislivello (che in realtà erano di più, per via del sentiero sbagliato). Ho un momento di sconforto, uno dei peggiori mai avuti durante le mie escursioni, penso di non potercela fare, tra l’altro si inizia ad intravedere il bivacco dove dovremo arrivare, ed è ancora lontanissimo, un puntino in cima ad uno sperone di roccia altissimo, respiro.

Piano piano, passo dopo passo, cantando qualche canzone e con piccole soste ogni tanto, riusciamo ad arrivare al Colle Pinter 2.777 m. Un valico dove l’aria cambia, il sole inizia ad abbassarsi e fa sempre più freddo, ci vestiamo a dovere per l’ultima tratta. Sembra di fare un altro percorso, il paesaggio e l’umore migliorano, si passa su una desolata pietraia, abbastanza ripida ma costante, il sole cala sempre di più come anche le nostre energie, siamo veramente sfiniti ma manca poco.
L’ultimo sprint di energia arriva dal sole stesso che tramontando fa colorare improvvisamente tutto di un rosa violaceo intenso e ci regala uno dei tramonti più belli della mia vita. La stanchezza si azzera, per quello spettacolo lì avrei potuto faticare anche il doppio, un’emozione ineguagliabile, ogni fatica viene ripagata e porta un pieno di energia ed adrenalina. In quei momenti ci si guarda in faccia e si vede la felicità, e la gioia, quasi viene da piangere.
Pochi metri ancora per il bivacco, il sole è già tramontato ed arriviamo con le luci del crepuscolo, ce l’abbiamo fatta! Qui trovate il video di uno dei miei compagni, comprensibilmente provato da ciò che stavamo vivendo, spero renda l’idea!

I bivacchi sono strutture spartane, senza riscaldamento, luce e acqua corrente, spesso solo con pochi posti letto. Il bivacco Ulrich Lateltin (3.132 m), è sempre aperto e per buon senso è previsto un pagamento volontario di 3€ a persona al CAI. È grande rispetto a molti altri bivacchi, 20 posti letto, costituiti da un unico tavolato a due piani con coperte e cuscini, una piccola dispensa e null’altro. È racchiuso da un guscio di lamiera con qualche finestra che dà sulla valle, si vedono lontanissime le luci dei paesi da dove siamo partiti, abbiamo fatto proprio tanta strada.
È praticamente pieno, tutti avevano approfittato della bellissima giornata. Srotoliamo i nostri sacchi a pelo, tiriamo fuori il fornelletto e scaldiamo il nostro cibo in scatola costituito da fagioli e riso. Fa freddo, anche dentro il bivacco stiamo con giubbotto e guanti, torcia sulla testa e musica, conosciamo altre persone che ci offrono qualcosa del loro cibo e un po’ di alcol per scaldarsi! La stanchezza si sente tutta e ben presto siamo tutti dentro al sacco a pelo, sempre con il giubbotto addosso. Durante la notte si alza il vento e quando ci svegliamo la mattina scopriamo che ha addirittura nevicato, solo una leggera spolverata per fortuna. Non avevamo ancora visto il panorama di giorno e quando usciamo rimaniamo senza parole, un risveglio che si vorrebbe fare ogni mattina, una vista pazzesca tra le vette più alte d’Italia, in lontananza si vede anche il Monte Bianco.

Oggi raggiungiamo la vetta, c’è poca strada da fare ormai, neanche 200 m di dislivello. Tuttavia alcuni che sono al bivacco con noi, vedendo la neve, e temendo che potesse essere pericoloso rinunciano, scendendo direttamente a valle. Noi siamo titubanti, non vogliamo rinunciare, attendiamo un po’ l’alzarsi del sole che fa sciogliere quella poca neve al suolo e in seguito ci incamminiamo. Il tragitto è quasi tutto sulla cresta del monte e l’ultimo pezzo ha una breve via attrezzata per nulla difficile, ma sicuramente non è adatta per chi soffre di vertigini (foto).
Finalmente arriviamo alla vetta, la mia vetta più alta fino a quel momento. Non c’è la classica croce, ma una struttura metallica con una campana e appena arriviamo ci fiondiamo tutti a suonarla, l’impresa è riuscita! Ci rilassiamo, ci godiamo un po’ il panorama e stappiamo la birra di vetta come da rito. Da qui si vede chiaramente anche il Cervino e il Monte Rosa con il suo ghiacciaio, facciamo qualche foto e ci rincamminiamo per la discesa, la parte meno faticosa, ma non è mai da sottovalutare, soprattutto con la stanchezza nelle gambe dal giorno prima. Durante il ritorno troviamo anche un cane che ci fa compagnia e sembra farci strada per gran parte del tragitto, poi incontrando altri escursionisti se ne va con loro. Agli ultimi chilometri di discesa inizio a soffrire alle ginocchia, ormai in qualsiasi modo io appoggi i piedi provo dei dolori, ma manca poco e stringo i denti, quando finalmente arrivo alla macchina la abbraccio, ora ci possiamo riposare, consapevoli dell’incredibile esperienza vissuta.
Il video dell'escursione
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